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Siamo quello che mangiamo…e forse potremmo essere migliori di così

Il settore alimentare è spesso sotto i riflettori per le sue pratiche poco sostenibili, da tutti i punti di vista: l’intero settore dipende dalle decisioni di pochi grandi fondi a livello globale (Altreconomia, 2023), la finanza gioca un ruolo chiave nelle trattative spesso a discapito della salute, allevamenti e agricolture intensive modificano e inquinano il pianeta mettendo a repentaglio la biodiversità, nuovi farmaci e abitudini dei consumatori danneggiano la salute umana e non solo.

Se la frase “siamo quello che mangiamo” fosse vera, al momento non ci faremmo un figurone. È necessario un cambiamento dal lato dell’offerta tanto quanto da quello della domanda, per preservare la salute del pianeta e la nostra.

Ma come affrontare un simile cambiamento? Quali indizi ci da’ il settore per il futuro?

Fonte: Statista, 2020

Per immaginare un nuovo futuro bisogna partire dal presente, da quello che sappiamo oggi. I dati ISPI 2021 ci dicono che in Italia gli allevamenti e l’agricoltura rappresentano il secondo settore più inquinante in termini di gas serra, con il 19% delle emissioni, secondi solo al settore energetico che regna con il 73%. Non solo i produttori sono però responsabili di questa situazione, anche il consumo necessita un nuovo approccio. All’interno delle famiglie infatti vengono sprecate quantità altissime di cibo pro capite ogni anno. 

Solo in Europa la media di spreco annuale è di 131 kg a persona, con le famiglie responsabili del 54% dello spreco totale (Statista, 2020). In Italia il dato supera la media, con 140 kg di cibo sprecato pro capite. Esistono già ad oggi diverse iniziative per evitare il più possibile questi sprechi, come la ben nota “Too Good To Go”, ma per avere davvero un impatto positivo sui grandi numeri è necessario un approccio diverso a livello culturale, partendo dall’istruzione per le nuove generazioni fino ad incentivi economici a livello nazionale ed europeo.

Molti dei problemi legati al settore alimentare sono già sotto gli occhi di tutti, con dibattiti che vengono diffusi a partire dalle grandi piattaforme di streaming e dai loro documentari (Politica Netflix di Will Media spiega molto bene questo fenomeno). Gli allevamenti e il mercato della carne sono stati messi a dura prova da Cowspiracy. L’industria della pesca ha svelato i suoi scheletri nell’armadio con Seaspiracy. L’ultimo arrivato in casa Netflix “You are what you eat: a twin experiment” ha mostrato altri retroscena sulla salute umana, animale e del pianeta derivanti dall’industria della carne, mettendo a confronto una dieta onnivora con una vegana attraverso diverse coppie di gemelli. Sorpresa sorpresa, la dieta vegana si è dimostrata più sana, non solo per la salute umana. 

Uno studio della Oxford University ha dimostrato che la dieta vegana ha il 30% dell’impatto ambientale rispetto ad un’alimentazione incentrata sulla carne. In effetti, alcuni miglioramenti nel mercato dei sostituti della carne si sono visti, crescendo negli ultimi 10 anni del 48% all’anno (Statista, 2023). Nel 2023 in particolare, il mercato dei sostituti della carne ha registrato 13 miliardi di dollari. Dato che rimane comunque insignificante rispetto al mercato della carne, che nello stesso anno ha raggiunto 1,3 trilioni di dollari a livello globale. Ancora una volta un cambiamento che deve partire dall’istruzione, dalla formazione, dalla cultura.

Fonte: Food Report 2023

Negli ultimi anni in Europa, soprattutto in Nord Europa, si è diffusa una nuova filosofia, quella dei menù rigenerativi, che sto sperimentando in prima persona all’interno del progetto di ricerca Bauhaus of the Seas Sails, con l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Una filosofia che invita a preferire coltivazioni che siano rigenerative per l’ecosistema e che si adattino al cambiamento climatico e alle nuove stagionalità che causa. Per capire meglio questo concetto bisogna fare un passetto indietro, verso l’idea che ogni cambiamento non deve essere misurato solo ed esclusivamente sui bisogni delle persone, ma su tutti gli esseri viventi, compresi animali e piante. Il cambio radicale sta proprio qui. E vale per i menù rigenerativi tanto quanto per l’Innovation Management. 

Ed ecco allora che nei periodi di siccità si cerca di prediligere quelle coltivazioni che mostrano una resistenza superiore e che quindi crescono di più rispetto ad altre. Oppure vegetazioni che assorbono più tossine nei periodi di grande inquinamento dell’acqua. Insomma, quello che si chiede è un approccio basato sulla flessibilità, per ristabilire un equilibrio che si è perso. Il cibo ha ripercussioni sulla salute dei nostri corpi, sulle nostre abitudini, sulle città e i loro paesaggi, sul clima. Un nuovo rapporto con il cibo non è solo consigliato, è necessario. I menù rigenerativi sono solo una parte di quelle che possono essere soluzioni e trend futuri. La Food Trend Map 2023 ha individuato altre due tendenze per gli anni a venire: New Glocal e ricette vegane. 

Il New Glocal può essere interpretato come una nuova declinazione di quello che fino ad oggi abbiamo chiamato fusion, con un’attenzione maggiore alle filiere e ai prodotti locali di un territorio. Le ricette vegane sono già più conosciute e diffuse, anche se in Italia questa tendenza fatica vista la forte filiera della carne che attraversa ogni regione.  Il futuro sembra andare verso la direzione della rigenerazione, dove la carne non è per forza proibita, ma sicuramente soggetta ad un ripensamento della sua produzione.

L’evento Homo Faber Economy organizzato a Venezia lo scorso 31 maggio dall’Università Ca’ Foscari, Fondazione di Venezia e Upskill 4.0, ha dedicato di recente uno spazio di dibattito e condivisione proprio su questi temi. È stato affascinante vedere come molte realtà veneziane del settore, dagli hotel ai ristoranti, siano già calate in questa prospettiva, promuovendo menù e idee di cucina in linea con molti dei trend futuri. 

La difficoltà in questi casi è quella di comunicare al meglio questi principi con i consumatori, per sensibilizzare il più possibile il pubblico verso nuove abitudini di consumo, senza però finire nel solito vortice della sostenibilità priva di sostanza, utile solo per le campagne pubblicitarie. La sostenibilità deve anzi lasciare posto alla responsabilità, al fattore scelta delle persone, diventando al tempo stesso più inclusivo e non qualcosa di accessibile solo a chi può spendere di più per una dieta sana.

Insomma, le sfide per il settore alimentare non mancano, ma si sta già facendo molto in Italia e nel mondo. Siamo quello che mangiamo e per essere persone migliori bisogna essere consumatori migliori. Un primo passo parte dalla tavola.